sabato 25 maggio 2013

Aggiornamenti.

Pubblico solo un breve post di aggiornamento: ho dato una piccola ritoccata alla grafica del blog, ma veramente, veramente minima, e spero che così si avvicini un po' di più alla sua veste definitiva (che spero non tardi ad arrivare, mentre so già che non arriverà mai...).
Probabilmente seguirà ancora qualche sottile aggiustamento qui e la, ma suppongo che non se ne accorgerà quasi nessuno. Intanto, grazie, come al solito, a +Giorgio Bella per il supporto tecnico (anche se a questo giro abbiamo semi-fallito entrambi).

E... niente. Sì, l'intenzione era anche quella di non lasciare il blog senza articoli per troppi giorni. Quindi, accontentiamoci!

See ya!

lunedì 20 maggio 2013

Riflessioni di carta.

Stamattina, mentre sono assorto nella mia classica perlustrazione internettiana, mi imbatto in un tweet di Tito Faraci, che esordisce così:

Novello Lapalisse, rifletto su come i fumetti in Italia vendano ancora tantissimo ma non abbiamo un evento paragonabile al Salone del libro.

Potete immaginare facilmente come le risposte non si siano fatte attendere.
Immediatamente, qualcuno cita subito il Lucca Comics e il Napoli Comicon, assurgendo a motivazione d'esempio il numero di biglietti strappati dal festival toscano maggiore rispetto addirittura al Comicon di San Diego, o la passione sfrenata che starebbe dietro ai partecipanti a simili eventi, introvabile nei visitatori di una kermesse libraria.

Non sono qui per prendere le parti di alcuno. Tutt'altro. Sono qui, a scrivere, perché l'argomento, e il dibattito scaturitone, mi ha molto interessato, e gradirei esternare un commento tentando di guardare sotto una luce più particolareggiata ciò che Tito volesse intendere. No, perché magari è stato solo un pochino frainteso. O, più probabilmente, i 140 caratteri di Twitter non hanno potuto permettere di esprimere appieno il suo punto di vista.

Per come la vedo io, ciò con cui è possibile concordare, e forse proprio ciò che lo scrittore voleva sottolineare, è che la risonanza e l'attenzione mediatica (e pubblica) che possiede il Salone del Libro non è appannaggio di alcun analogo evento fumettistico italiano.

Ragioniamo.

Non è giusto discutere solo per numero di visitatori, ovviamente. La qualità di una manifestazione si riconosce innanzitutto dal suo contenuto, da come quel contenuto è presentato, e da chi viene a presentarti parte di quel contenuto, che contribuisce a creare. Gli ospiti sono sempre una parte fondamentale di simili manifestazioni. Altrimenti, potremmo mettere sul piatto i 900.000 visitatori medi del Motorshow di Bologna e chiudere tutto il resto.

Gli ospiti, dunque, appunto. Gli ospiti sono il pezzo forte che focalizza l'attenzione sull'evento. Vorreste dirmi che a Lucca non ci sono ospiti degni? Volendo mentire spudoratamente, sì. Ma qual è la differenza fra gli ospiti del Lucca Comics e quelli del Salone del Libro, fra ciò che portano in mano (e a voce) quelli del Lucca Comics (e quelli di un po' tutte le altre fiere) e quelli del Salone del Libro? Che quelli del Lucca ti parlano di fumetti, e quelli del Salone di libri? No. Che quelli del Lucca ti parlano di fumetti, e quelli del Salone di tutto. Qui, probabilmente, sta il nodo centrale.

Chi va a Lucca è un appassionato, noi diremmo un nerd. Si imbuca lì e sta due ore in coda per avere l'autografo di Jeff Smith. Poi torna a casa, e magari parla con i genitori. "Sapete che ho avuto un autografo da Jeff Smith?". La reazione più tranquilla, a quel punto, sarà quella di veder comparire un W.T.F. impresso sulle fronti del parentado. Ovviamente, segue il telegiornale, ma di Jeff Smith al Lucca Comics neanche una traccia. Neanche una traccia del Lucca Comics, a dire il vero, tranne che forse sul TGR Toscana.
E quello che va al Salone del Libro? Be', quello si fa le due ore di coda, e si stipa in una sala ad ascoltare Roberto Saviano. Oppure Mario Draghi. Poi torna a casa, e dopo aver assistito per bene ad un bel battage tele-giornalistico su Draghi e Saviano al Salone, racconta a visi curiosi e ipnotizzati quanto incredibile sia stato ascoltare ciò che usciva dalle loro vere voci.

Con questo, vuoi dire che gli ospiti di Lucca non valgono un tubo, direte. Proprio no. Alla scorsa edizione ho assistito ad una stupenda quanto commovente conferenza di Giorgio Cavazzano, mentre ieri, al Lingotto, non son riuscito a sentire nemmeno uno dei nomi che erano venuti lì per raccogliere masse. Eppure, di Cavazzano a Lucca non si è mai parlato sui media tradizionali (e pochino online, tranne che sui siti specializzati), mentre di Renzi a Torino hanno sbandierato tutti i telegiornali.

Con questo, vorrei concludere il discorso e sperare di aver dato un punto di vista soddisfacente su ciò che suppongo intendesse Tito con quel post. La risposta, si chiama nicchia. La nicchia in cui il fumetto è ancor chiuso oggi, non solo in Italia, credo, ma in particolar modo nel nostro paese. E a cui il libro, e ciò intorno a cui il libro ruota - cioè, potenzialmente, tutto  - non appartiene. Perché è pleonastico dire che un luogo dove, a distanza di due ore, potrai sentir parlare il Presidente della BCE e lo scienziato di fama internazionale che ti tiene la sua lectio magistralis, avrà per forza di cose un eco di risonanza enormemente maggiore di una manifestazione per appassionati. E' un difetto ciò, per l'evento da appassionati? Ne siete davvero convinti?

domenica 19 maggio 2013

Solcando oceani di cellulosa.

Sono uscito vivo dal Lingotto per l'ennesimo anno consecutivo.
Non sono uno che legge in maniera frenetica, non compro praticamente mai libri, quelli che leggo li prendo in prestito (le biblioteche sono una gran invenzione). Nonostante ciò, al Salone Internazionale del Libro di Torino ci vado tutti gli anni, foss'anche solo per passare un pomeriggio diverso. Già, perché è così che sarebbe da definire l'esperienza ormai consueta che ogni maggio mi porta fra i padiglioni di via Nizza.

A questo giro, il raccolto è stato meno fruttuoso. Ma non meno piacevole. Eravamo partiti, io e i miei amici +Emmanuele Baccinelli e +Fabio Del Prete, con l'intento di replicare la caccia al tesoro dell'anno scorso: tampina Faraci! Risultato: in pieno stile Disney, ha fregato lui noi. Tranquillamente, mentre noi arrivavamo, lui se ne andava a partecipare ad una mostra fotografica a Palazzo Reale. Fine. L'obiettivo principe della giornata era sfumato.
Poco male, ci sono da girare 51.000 metri quadri di fiera. 51.000 metri quadri che in questo momento sento tutti nelle gambe, nonostante non esista uno stand che non abbia visto in fast motion.
Troppo poco un pomeriggio per rendere decente la visita. Troppa gente. Per camminare si cammina: gli stand quest'anno, complice la crisi, si sono rimpiccioliti, pur aumentando di numero, cosa che ha consentito di avere a disposizione corridoi molto più ampi del solito. Il problema è che le sale sono sempre quelle, e l'afflusso è sempre enorme. Così, Massimo Gramellini è praticamente assediato in conferenza, per vedere Paolo Villaggio c'è da mettere in conto almeno mezz'ora fissa di coda, e grazie a Dio che Renzi c'era a mezzogiorno, che altrimenti avremmo probabilmente subito una sorta di tsunami umano. Resta quasi abbordabile un insolitamente calmo Vittorio Sgarbi, che sbraita con una tranquillità che non sembra sua allo stand della Regione Calabria. Lasciamo stare i VIP oggi, via, non è giornata.

È così che, dopo esserci più o meno persi, si decide di battere in ritirata. Resta l'impressione, un po' velata, di un'edizione leggermente sottotono. Probabilmente, anzi, sicuramente, solo sotto il profilo del gradimento personale. O forse abbiamo solo beccato la giornata meno intensa. D'altronde è abbastanza risaputo dagli habitué che i giorni clou sono venerdì e sabato.

Ma qualcosina che non va, c'è. Forse l'inspiegata assenza di Disney e il tristissimo stand di BAO Publishing hanno di fatto impattato più del dovuto. Per non parlare del Wi-Fi! Oggi gli oceani di cellulosa erano davvero gli unici degnamente... navigabili.

sabato 18 maggio 2013

Ben arrivati nei mistici Giardini di Britannia.

Non chiedetemi il perché mi sia venuto in mente di aprire un blog. Risparmiate il fiato, perché non lo so nemmeno io. Sta di fatto che - forse perché sono uno a cui piace provare gli strumenti che ha a disposizione, forse perché l'idea di avere uno spazio dedicato in cui scaricare pensieri non era poi così male - ho deciso di aprirne uno. Un esperimento. "Un altro?!" Sento già qualcuno far rimbombare una simile esclamazione di sorpresa all'interno della propria testa. E forse anche all'esterno. Sì, è un periodo di sperimentazione. Il mio lato progressive è in un momento di particolare attività, evidentemente. Ho appena aperto una pagina Google+ in co-gestione, e ora mi faccio anche un blog. Decisamente tanto.

In ogni caso. Le due cose possono anche venire messe in connessione.

Il blog verrà usato per trattare di qualunque argomento, qualunque argomento che altrove - magari sul profilo G+ - verrebbe trattato magari in maniera più riduttiva. Scriverò di qualunque cosa mi passi per la testa di scrivere. Un giorno, forse, di musica, e quello dopo di tecnologia, chissà, e magari quello dopo ancora di scienza, non fosse mai che così possa pubblicare sulla neonata paginetta qualcosa di originale. Un giorno? Ecco, chiarisco subito. Seguitemi pure, se quel tempo avete proprio intenzione di buttarlo, ma non aspettativi chissà quale regolarità nel posting. Potrei scrivere tre articoli in tre giorni e poi restar fermo tre mesi. E come ripeto, è un esperimento, per ora. Sono in beta.

Non arrabbiatevi neanche se pasticcio un po' con la grafica e il layout. Devo ancora prendere un po' di confidenza con Blogger, e spero non sia scontroso. Ah, il titolo. Se ve lo state chiedendo... non significa niente. Chi mi conosce un po' sa che ho interessi che spaziano abbastanza (spesso anche senza c'entrare una mazza l'uno con l'altro), e che ancor di più mi diverto, alle volte, a fonderli fra loro, sempre che questo possa significare qualcosa. Nella fattispecie, la Britannia del titolo è una citazione al bellissimo anime giapponese Code Geass, che il mio amico +Giorgio Bella mi ha spinto a vedere ultimamente. E come si collega a questi altri presunti interessi, vi chiederete? Be', da amante della Perfida Albione e della sua figlia musicale, il Rock Progressivo, non potevo non pensare al mio gruppo preferito. Anche perché, nel nostro frangente, si sposa benissimo con ciò che avevo in mente. Si dà il caso, infatti, che Britannia fosse uno dei personaggi che Peter Gabriel soleva interpretare durante i suoi teatro-concerti (nella foto), personaggio che rappresentava l'Inghilterra vilipesa e svenduta al denaro. I giardini, invece, sono una citazione, sempre genesiana, ai Royal Gardens of Kew presenti nel brano del 1971 The Return of The Giant Hogweed. Nessuno può obiettarmi che non fossero britannici anch'essi.

Va bene, per ora mi fermo qui. Condivido un po' il blog in giro, che sapete dove trovare (e dove trovarmi). Vi do appuntamento al primo - vero - goffo tentativo di articolo.

ALLONS-Y!